Agripellet: quali prospettive di impiego nella filiera energetica italiana?
Al neo-insediato Ministro delle Politiche Agricole, Agroalimentari e Forestali, on. Nunzia De Girolamo, dedichiamo questo editoriale, con l’auspicio di riavviare in tempi brevi il tavolo di confronto sulle bioenergie.
Promuovere l’impiego dei sottoprodotti di origine agricola a fini energetici rappresenta un’opportunità per il mondo agricolo interessato ad abbattere i costi di smaltimento delle potature, a ridurre i costi della bolletta del riscaldamento e diversificare l’attività produttiva.
Approfondiamo il tema con il prof. Giuseppe Toscano, responsabile del Laboratorio Biomasse del Dipartimento D3A - Università Politecnica delle Marche. Cogliamo l’occasione, inoltre, per invitare i lettori della newsletter interessati alla produzione di pellet da potature agricole a partecipare alla manifestazione di pellettizzazione derivante dai sarmenti in programma il 17 maggio a Tirano. (per maggiori info vedi: http://www.fiper.it/uploads/media/programma-evento-tirano.pdf)
D. Che ruolo possono svolgere i residui agricoli nell’ambito della produzione di energia rinnovabile da biomasse?
R. Il recupero di biomasse residuali agricole a fini energetici rappresenta un’opportunità per le aziende del settore agricolo di ampliare la gamma di prodotti e funzioni offerte e di rispondere alle nuove esigenze dell’agricoltura multifunzionale. La produzione di energia o di prodotti energetici rinnovabili da biomassa residuale accompagna le attività fondamentali dell’azienda agricola e contemporaneamente ne migliora sensibilmente il bilancio economico, energetico ed ambientale. Sin dalle origini l’agricoltura svolge il ruolo di intercettare l’energia solare per l’approvvigionamento energetico dell’uomo e degli animali attraverso l’alimentazione. Nel rispetto di questa funzione basilare oggi l’azienda agricola può prefigurarsi come generatore di energia rinnovabile per la propria autosufficienza energetica e da destinare al mercato. La produzione di pellet da residui agricoli solidi o “agripellet” consente di dare una prospettiva importante come, di fatto, è poi accaduto con i residui del settore forestale e dell’industria del legno destinati alla produzione di pellet di legno.
D. Quali sono le motivazioni alla base della produzione di agripellet?
R. Una delle critiche mosse alle produzione energetiche da biomasse si basa sulla scarsa densità energetica che caratterizza questi prodotti se, soprattutto, comparata con i combustibili fossili tradizionali. La pellettizzazione del residuo colturale determina un incremento della densità energetica superiore anche di 10 volte rispetto alla materia prima grezza. Inoltre, la “fluidità” del pellet, dovute alle sue caratteristiche dimensionali e geometriche, lo rendono un prodotto facile da maneggiare, dosare e movimentare, ed il basso contenuto di umidità ne migliora le condizioni di stoccaggio e di utilizzo come combustibile. Di fatto, la pellettizzazione trasforma una biomassa generica ed eterogenea, in un biocombustibile con caratteristiche standardizzabile. Recentemente a dare l’identità di combustibile al pellet prodotto da materiali agricoli ci ha pensato la norma “UNI EN 14961-6:2012 – Pellet non legnosi per usi non industriale” che recepisce l’omologa norma europea e che definisce la qualità del prodotto sulla base dell’origine della materia prima e la misura di alcuni parametri fisici e chimici. Per cui sono già operativi degli strumenti per misurare la qualità di questi biocombustibili e stabilirne il corretto utilizzo.
D. Che potenziale di sviluppo viene attribuito all’agripellet “made in Italy”, tenendo conto che il Bel Paese è tra i primi importatori mondiali di pellet di legno?
R. La disponibilità di biomassa grezza da utilizzare come materia prima nella produzione di agripellet è immensa. Ad esempio, uno studio condotto dall’ENEA e pubblicato nel 2009 indica, per le solo potature di arboree, un potenziale di quasi 5 milioni di tonnellate di sostanza secca (oltre 2 Mtep) che si tradurrebbero in altrettanta quantità di agripellet. Sebbene questo numero rappresenti solo le disponibilità potenziali, i quantitativi di biomassa in gioco non sono affatto trascurabili se si pensa anche alla possibilità di attingere ad altre biomasse residuali. Si tratta di un importante giacimento energetico rinnovabile diffuso sul nostro territorio che ridurrebbe l’importazione dall’estero non solo di prodotti fossili ma anche di quelli rinnovabili, con benefici per la nostra bilancia commerciale nazionale. Il nostro paese importa dall’estero grandi quantità di legna da ardere e pellet di legno. Le recenti statistiche stimano una importazione annua di 800 mila tonnellate di pellet di legno, spesso di provenienza non nota o certa. L’agripellet offre l’opportunità di sviluppare produzioni energetiche “nel territorio per il territorio”, basate sullo sviluppo di filiere corte o a “reale chilometro zero” nel caso di autoproduzione e autoconsumo in azienda agricola.
D. Che tipo di tecnologie sono necessarie perché un’azienda agricola o un consorzio possano pellettizzare in proprio questa tipologia di biomasse?
R. Le fasi per la produzione di agripellet sono fondamentalmente tre: la raccolta della biomassa residuale, l’essiccazione e la pellettizzazione. Per la prima fase il mercato già propone diversi modelli di macchine. La fase di essiccazione e pellettizzazione normalmente avviene in impianto industriale. Tuttavia, da recenti esperienze nell’ambito di una realtà produttiva di agripellet di potature di vite, si è sviluppato e sperimentato l’introduzione nella filiera di un cantiere mobile di pellettizzazione, trasferendo la produzione di agripellet direttamente in azienda agricola. Questa opzione, che prevede l’essiccazione della biomassa mediante stagionatura in campo, elimina il trasporto della biomassa grezza determinando una serie di benefici economici ed ambientali. Il cantiere mobile di pellettizzazione è un sistema trainabile su rimorchio che può configurarsi per essere alimentato dalla rete elettrica, da generatore o da albero cardanico a seconda delle condizioni offerte dal contesto aziendale. La produzione diffusa di agripellet promossa con questa soluzione consente di far convergere l’interesse di diversi soggetti quali, singole aziende agricole, consorzi, imprese agromeccaniche e società produttrici di energia le quali possono condividere obiettivi, investimenti e benefici.
D. Quali sono le principali caratteristiche di questo prodotto ed i limiti da superare per favorirne la diffusione sul mercato?
R. In termini energetici l’agripellet non ha niente da invidiare al pellet di legno ma presenta una qualità inferiore di alcuni parametri fisici e chimici. In particolare, il contenuto in ceneri, cloro, zolfo e azoto può essere più elevato, determinando una serie di problematiche di carattere tecnico ed ambientale. Da qui la necessità di utilizzare impianti termici adatti per la combustione di questo prodotto, che dispongono di bruciatori per agripellet e più attrezzati per fronteggiare il problema delle corrosioni e delle emissioni da combustione. Ritengo che ci siano spazi di lavoro e margini di miglioramento su tutta la filiera, a cominciare dalla meccanizzazione del processo di raccolta della materia prima da cui può dipendere, oltre che il costo, anche la qualità del prodotto finale. A livello generale, penso sia fondamentale il contributo di chi amministra le realtà territoriali, chiamato a favorire le condizioni per diffondere in modo sostenibile e condiviso questo nuovo modello di sviluppo energetico rurale.