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Gestione forestale, certificazione e crediti carbonio: quale ruolo possono giocare le bioenergie?

PEFC Italia festeggia il 7 luglio i suoi primi 20 anni di vita, all’insegna della Gestione Forestale Sostenibile. Attualmente in Italia sono certificati PEFC 877.000 ettari di foreste e 1.200 aziende della filiera.

Un risultato importante alla base di nuovi traguardi e obiettivi, per rimettere al centro l’importanza dell’economia forestale per il presidio dei territori e per il conseguimento degli obiettivi europei di decarbonizzazione. Inoltre è attuale a livello europeo la definizione e implementazione di schemi di remunerazione per le pratiche di sequestro del carbonio derivante da attività agricolo-forestali.

Approfondiamo il tema con il dott. Brunori, Segretario Generale del PEFC Italia, esperto conoscitore del settore.

1) Nuova certificazione della gestione forestale sostenibile, in che cosa consiste?

Nel 2020 si è aperto il quinto processo di revisione dello standard di certificazione forestale italiano, con la novità che si apre la certificazione anche al mondo del “fuori foresta”, cioè al Verde Urbano e alla Agroselvicoltura. Infatti, ogni cinque anni il PEFC Italia aggiorna i propri standard di Gestione Forestale Sostenibile e di Gestione Sostenibile delle piantagioni Arboree, con l’obiettivo di rafforzare i propri indicatori di sostenibilità e le procedure di certificazione. Gli standard hanno l’obiettivo di individuare, grazie alla costituzione di specifici gruppi di lavoro, precise regole di sostenibilità ambientale, economica e sociale e sono definiti dal PEFC Italia a livello nazionale insieme ai principali stakeholder del settore per un totale di oltre 140 tra ricercatori, amministratori e tecnici, tra i quali anche FIPER.

Tanti sono i temi che sono già stati affrontati e tanti quelli che saranno trattati durante i prossimi incontri: dall’uso di prodotti biodegradabili e a ridotto impatto ambientale per macchine e motoseghe, alla valorizzazione dei sottoprodotti per arrivare ai temi legati alla pianificazione delle foreste e alla gestione del bosco ceduo. Una sfida per noi importante (anche perché svolta online per le restrizioni pandemiche) ma che ci aiuta a migliorare costantemente i nostri standard e quindi la garanzia della certificazione che ad oggi interessa il 9% delle foreste italiane.

2) Un’evoluzione culturale dell’idea del bosco intoccabile; che strumenti abbiamo a disposizione per sensibilizzare i cittadini alla “coltivazione e gestione attiva del bosco?

Quello che abbiamo notato nel corso degli anni è che, con l’aumento del numero delle persone che vivono in città (oggi in Italia siamo arrivati oltre al 72% della popolazione) è aumentato anche il divario tra foreste e persone. Un esempio su tutti è legato alla legna da ardere. Questa attività fino a qualche tempo fa era vista generalmente come pratica usuale legata alla vita delle persone nelle aree montane del Paese (che fungevano anche da presidio del territorio) ma oggi viene spesso vista dall’opinione pubblica come pratica dannosa e distruttiva delle foreste. Questo pensiero, oltre che alla distanza tra città e foreste è comunque anche dovuto al fatto che purtroppo a livello globale il taglio illegale delle foreste è una pratica molto diffusa che in determinate aree (Sud America, Sud-Est Asiatico e Africa ma anche Est Europa per quanto riguarda la legna da ardere) ha provocato e provoca una pressione distruttiva sugli ecosistemi forestali. Anche per questo motivo la certificazione forestale è un elemento chiave che può aiutare a premiare quei prodotti derivanti da una gestione corretta e sostenibile delle foreste, riducendo il rischio di acquistare prodotti di origine forestale illegali e provenienti da aree lontane.

In Italia il problema non è la deforestazione, ma l’abbandono delle foreste che provoca totale mancanza di presidio del territorio e che ha come conseguenza anche eventi estremi come diffusione di incendi e di frane. Un bosco non gestito, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, è un bosco che nel breve periodo ha anche performance peggiori dal punto di vista dell’assorbimento di anidride carbonica, almeno prima che non abbia ritrovato in alcune centinaia di anni il suo naturale equilibrio.

3) Quali sono le prospettive e l’evoluzione di PEFC per i prossimi 20 anni?

Anche sulla base di quello che abbiamo appena visto direi che un elemento chiave è legato al puntare sulle filiere foresta-legno locali e certificate, siano esse per l’energia che per l’arredo e per l’edilizia. Questo concetto è ormai riconosciuto nel settore alimentare, perché non considerarlo anche per quello forestale? Legno locale vuol dire economia per il territorio ma anche presidio (e quindi evitare o comunque mitigare la diffusione dei fenomeni avversi) e minori emissioni dovute al trasporto. Certo, a differenza di altri settori, ci sono barriere delle quali dobbiamo essere consci (pensiamo solo alle infrastrutture carenti o alla frammentazione della proprietà boschiva) ma noi sappiamo che questa è la direzione giusta da prendere e che deve essere presa da tutti gli attori della filiera e dai protagonisti dei territori.

Ma bosco non vuol dire solo legno, vuol dire anche servizi ecosistemici, come la capacità di stoccare CO2, di purificare l’acqua, di proteggere il suolo, di produrre prodotti forestali non legnosi (come miele, funghi, tartufi, ecc.), di conservare tradizioni e saperi locali, di garantire una fruizione turistico-ricreativa. Proprio per questo, infatti, stiamo pubblicando uno standard per la valutazione dei servizi ecosistemici generati dalle foreste certificate gestite in modo sostenibile. E’ necessario rendere espliciti questi valori, affinché la società possa riconoscere la loro importanza e dar un giusto valore all’impegno di chi fa “le cose per bene” ed eticamente.

4) Ritiene che il mondo forestale e la certificazione possa contribuire allo sviluppo del mercato dei crediti di carbonio?

Il mercato dei crediti di carbonio ha due mondi, quello regolamentato che fa riferimento al sistema ETS (a cui afferiscono gli impianti di combustione a potenza nominale in entrata superiori a 20 MW) e quello volontario non regolamentato. La certificazione forestale in Italia permette di fornire garanzia relativamente a progetti che generano crediti di carbonio (o crediti di sostenibilità) solo per il mercato volontario, nel quale c’è una richiesta crescente di attività che aumentino l’assorbimento della CO2 o la riduzione delle emissioni; c’è molto spazio di sviluppo per le aziende che pensano ad investire nella logica del green marketing, cioè con comunicazione verso una clientela sempre più attenta ai temi ambientali e magari a dare un valore aggiunto a chi investe nel proprio territorio. Dal mio osservatorio del mercato dei servizi ecosistemici derivanti dal settore forestale, confermo il trend in crescita e l’importanza dato alla certificazione forestale di un controllo in campo, periodico e documentato.

Per il mercato che fa capo al mercato regolamentato con sistema di quote di emissione, esiste la possibilità del settore forestale di “partecipare”, attraverso la biomassa legnosa (per lo più cippata) per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili (con conseguente riduzione delle emissioni di CO2 fossile), permettendo di alimentare impianti di combustione accessori alle centrali alimentati da gas o altri combustibili fossili, allo scopo di ridurre la potenza nominale delle centrali termiche principali. Anche in questi casi la certificazione forestale della materia prima (quindi la certificazione di catena di custodia del fornitore di cippato) permette di avere le garanzia sulla legalità della fornitura, fino a conoscere l’origine dei lotti di legname, elementi indispensabili nel caso di obbligo per la Due Diligence del Reg. UE 995/2010.

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