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Una strategia per le foreste italiane

Una strategia per le foreste italiane

La Dott.ssa Alessandra Stefani è Direttore Generale della Direzione Foreste del MASAF, il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Fiper l’ha intervistata per conoscere meglio la situazione attuale delle foreste italiane e ragionare sulle prospettive future.

Quali sono le proposte in corso relativamente allo sviluppo di un modello innovativo per la gestione delle foreste italiane?

Le foreste italiane sono ricche in biodiversità ben più di tutte le altre foreste europee, e da 100 anni sono tutelate da una norma di buon governo a beneficio della prevenzione dei dissesti, oltre che dei prelievi di legno. Da quasi quarant’anni sono anche tutelate per il loro contributo al paesaggio, e sono cresciute in quantità e qualità grazie ad azioni di risparmio e all’abbandono delle pratiche tradizionali, oltre che per alcune intense attività di rimboschimento, principalmente dopo le due guerre mondiali, e in ragione dell’abbandono dei territori collinari e soprattutto montani. Ciò che innovativamente si sta cercando di introdurre è un percorso che , preso atto dei vincoli,  possa passare a nuovi modelli di gestione multifunzionale , più vicini alle evoluzioni naturali, che valutino allo stesso modo quanto lasciare al bosco e quanto prelevare, intendendo in questo bilanciamento non solo il materiale legnoso, ed i prodotti a torto spesso definiti secondari, ma anche l’accumulo di CO2, la funzione di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, oltre agli altri ben noti servizi ecosistemici. Non vi sono ricette buone per tutti i boschi italiani. Piuttosto esiste un’unica indicazione, che è quella di estendere quanto più possibile la pianificazione forestale, di area vasta ed aziendale, per identificare e coltivare le principali vocazioni di ogni compagine boschiva.

Qual è il ruolo delle foreste rispetto alla promozione delle bioenergie in Italia, nel quadro degli scenari e degli obiettivi europei e nazionali?

Secondo dati attendibili, quasi nove milioni di italiani si riscaldano con biomasse legnose, solo in piccola parte prodotte in Italia. Per altro, quasi il 60 % dei 12 milioni di ettari di bosco presenti in Italia sono gestiti a ceduo ( dati inventariali aggiornati al 2015 pubblicati da CUFA Carabinieri), una forma di governo dei boschi che produce principalmente biomasse ad uso energetico, spesso destinato all’autoconsumo. Circa un terzo delle biomasse legnose utilizzate a scopo energetico pare provenire da fuori foresta, ma il dato è ancora più controverso dei precedenti. Una modesta porzione di materiale legnoso sul totale è destinata a 23 grandi impianti per produzione esclusiva di energia elettrica, con bassissime rese, perché il calore prodotto nei processi attivati in queste centrali non è utilmente impiegato ne’ al momento impiegabile. Molti degli impianti individuali utilizzati per riscaldamento delle abitazioni, nonostante le misure come il ” conto termico”, non sono tuttora performanti, né dal punto di vista delle rese né dal punto di vista delle emissioni in atmosfera. Diversi sono gli scenari per il reimpiego di residui di coltivazione agricola, di biometano e biogas e utilizzo di residui animali, oli e carcasse. Promuovere le bioenergie in Italia significa indicare percorsi diversi per ogni tipologia di FER. Nell’ambito delle biomasse legnose, avuto riguardo per gli scenari definiti dalle varie strategie e disposizioni, soprattutto europee, diviene fondamentale rendere evidente la complessità dei temi, promuovere usi efficienti e quanto più possibile legati al territorio dove sono prodotte ed .alle collettività locali, nell’ambito dell’uso a cascata ormai ineludibile per le sue ricadute sociali, ambientali ed economiche.

Quali sono i punti cardine della strategia nazionale per le foreste italiane?

Sono condensati nella mission della Strategia: è uno strumento adottato a beneficio del patrimonio forestale italiano, nell’interesse collettivo. La sua missione sarà quella di portare ad avere foreste estese e resilienti, ricche di biodiversità, capaci di contribuire alle azioni di mitigazione e adattamento alla crisi climatica, offrendo benefici ecologici, sociali ed economici per le comunità rurali e montane, per i cittadini di oggi e delle future generazioni. La SFN incentiverà la tutela e l’uso consapevole e responsabile delle risorse naturali, con il coinvolgimento di tutti, in azioni orientate dai criteri di sostenibilità, della collaborazione e dell’unità di azione.

Come possono essere riassunti i dati salienti (quantità) relativi a crescita, prelievo corrente, prelievo ottimale, in riferimento alle foreste italiane?

I dati contenuti nell’inventario forestale 2015 dicono che i volumi di biomassa arborea epigea assommano in media a 165,4 mc ad ettaro (erano stimati in 144 nel 2005) con un volume totale aumentato del 18, 4% e una biomassa arborea epigea cresciuta del 19,4 % rispetto ai medesimi dati del 2005. I prelievi si stimano tra il 20 e il 40% dell’incremento annuo, ben al di sotto delle medie europee. Il prelievo ottimale, data l’amplissima variabilità di cui abbiamo detto e la modesta attendibilità dei dati forniti non è generalizzabile, ma va studiata area per area.

Qual è la quota di patrimonio forestale di proprietà privata e come è ripartita?

Secondo i dati dell’Inventario forestale 2015, i boschi di proprietà privata contribuiscono al 63,5% della superficie forestale totale, si cui ben il 79% di proprietà privata individuale. La proprietà pubblica, presente dunque solo nel 36,5% dei casi, è rappresentata prevalentemente dalla proprietà comunale e provinciale (63,5%) mentre le proprietà statali e regionali assommano al 23,5%.

Quali azioni potrebbero essere messe a punto per ottimizzare la gestione del patrimonio forestale pubblico e privato, in maniera sinergica?

Come sostenuto in precedenza, denominatore comune delle proprietà sia pubbliche sia private dovrebbero essere i piani di gestione, coerenti con la sovraordinata pianificazione di area vasta. Le superfici pubbliche, se non estese a sufficienza per consentire la redazione di piani di gestione, dovrebbero associarsi a proprietà private contermini, e favorire la gestione associata, anche in regime di concessione. Le proprietà private sono quasi sempre di dimensioni modestissime. Prioritaria è l’azione di un associazionismo tra proprietari perché solo una superficie minima accorpata consente una reale attività di gestione che non si limiti a periodici prelievi.

In quest’ottica, quali sono le soluzioni praticabili per le parcelle forestali con proprietari non direttamente reperibili (perché defunti, emigrati ecc.)?

Il Testo unico delle foreste ( D lgs 34 del 2018) consente di individuare alcuni terreni come abbandonati ( da non confondere con le superfici forestali che si è scelto di lasciare ad evoluzione libera) e i terreni silenti, terreni abbandonati per i quali i proprietari non siano individuabili o reperibili a seguito di apposita istruttoria. A mente della stessa norma, le Regioni possono procedere all’ attuazione di interventi di gestione con forme di sostituzione diretta o affidamento a imprese, consorzi, cooperative e ad altri soggetti pubblici e privati o anche mediante affidamento ad enti delegati per la gestione forestale. Le Regioni sono chiamate a definire i criteri e le modalità per il calcolo ed il riconoscimento degli eventuali frutti della gestione, che possono essere accantonati per almeno due anni, in attesa della manifestazione dei proprietari non a suo tempo identificati. Qualora siano trascorsi i due anni senza reclami, i frutti devono essere reinvestiti in attività di valorizzazione ambientale, paesaggistica e socioeconomica dei boschi nella stessa area dove sono stati prodotti.

Nel percorso di creazione di una filiera bosco-energia e di una comunità energetica, sarebbe possibile includere le parcelle private di boschi e foreste nel capitale sociale?

Io ritengo che sia un percorso non solo possibile, ma anche da prediligere. Recentemente, la norma ha riconosciuto la possibilità di costituire reti di impresa anche per il settore forestale, come già proficuamente avvenuto per le reti di impresa agricole. Ma per il settore forestale si è pensato alla creazione di una forma speciale di reti di impresa, chiamata accordo di foresta. In questo caso, unico per il panorama delle reti di impresa, l’accordo prevede la presenza di proprietari di superfici forestali, per ancorare la gestione dei prodotti forestali alle superfici che ne hanno consentito la produzione, con possibilità di una gestione forestale dedicata al prodotto e improntata alla sostenibilità di tutta la catena successiva. Nulla vieta che l’accordo preveda l’utilizzo energetico delle biomasse legnose, da solo o meglio ancora come frutto di un utilizzo a cascata, e che per il suo utilizzo si crei una comunità energetica. Anzi, io credo che sia una prassi innovativa ma importantissima, perché lega ancor di più un territorio ai suoi boschi ed alle genti che lo abitano, cioè coloro che hanno il maggior interesse a mantenerlo nel migliore dei modi possibili ed ad investire per il suo miglioramento.

Quale frase conclusiva può riassumere il suo punto di vista e il lavoro che lei sta conducendo su queste tematiche?

Il tentativo che abbiamo in corso è quello di favorire la gestione delle foreste, ed il loro utilizzo in maniera sostenibile, e se possibile certificata. L’utilizzo a scopo energetico deve inserirsi armoniosamente nel sistema multifunzionale forestale, e non contrapporsi ad altri utilizzi nella logica di una filiera coesa e resiliente.

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