Fiper ha recentemente siglato un accordo di collaborazione con Unimont, l’Università della montagna, con sede a Edolo (BS). Abbiamo intervistato Anna Giorgi, responsabile del Polo universitario di Edolo.
Cos’è Unimont? Quando e perché nasce e come mai proprio a Edolo?
Unimont è un distaccamento dell’università degli studi di Milano, con sede a Edolo, un piccolo comune di montagna in alta valle Camonica con meno di 5000 residenti e circa 250 studenti ogni anno che provengono da tutta Italia e dal mondo.
Unimont nasce 29 anni fa (quindi nel 2026 compiremo 30 anni!) come diploma universitario, per poi trasformarsi in laurea triennale e introdurre successivamente anche la magistrale. È un percorso che ha fatto un lungo cammino di crescita, lento ma costante, e che passo dopo passo è diventato la realtà internazionale che è oggi.
Io definisco Unimont come un grande laboratorio di innovazione situato tra le montagne, che è già di per sé fattore di innovazione. Il polo di Edolo è un luogo nel quale si fa didattica specifica per le aree montane e in cui si declinano tutte le peculiarità culturali, storiche, economiche, ambientali e artistiche di questi contesti. Lavoriamo con una visione larga e un approccio specifico per dare una formazione unica al mondo ai nostri studenti e crediamo che ciò sia molto importante perché le montagne hanno bisogno di voce e di interpreti che siano consapevoli delle peculiarità e della ricchezza di questi territori.
Qual è il valore aggiunto, per un Paese come l’Italia, dell’avere una vera e propria “Università della montagna”?
La recente attivazione della laurea magistrale internazionale in lingua inglese “Valorization and susainable development of mountain areas” si occupa di promuovere lo sviluppo sostenibile dei territori montani, quindi di affrontare la tematica ormai storica della loro marginalizzazione con una formula che, se vogliamo, può sembrare anche banale, ma è l’unica che vince, vale a dire puntare sul capitale umano e sull’innovazione. Sono questi i due fattori che oggi più che mai possono determinare la competitività di un contesto territoriale, qualunque esso sia: formare giovani professionisti che siano davvero preparati alle specificità di questi territori e “fare focus” sulla montagna sono gli ingredienti di una strategia vincente per rilanciarla a livello sociale, culturale ed economico e trasformarla da problema in risorsa.
Pertanto, se dobbiamo rappresentare le montagne e in esse far sviluppare delle attività che siano coerenti con il contesto territoriale (le uniche che reggono e prosperano senza i sussidi), allora bisogna che si sappia bene cosa sono le montagne, che le si conosca a fondo.
Unimont lavora per far sì che si abbandoni la logica dell’omologazione degli ultimi 70 anni che ha penalizzato fortemente le montagne italiane. Se prendiamo a titolo esemplificativo l’agricoltura, è ormai per noi evidente che essa è profondamente influenzata dalle condizioni ambientali, orografiche, geomorfologiche e climatiche e che non può essere omologata alla stessa attività fatta in contesti totalmente diversi, come quelli di pianura, senza creare una situazione di scompenso grave e di perdita di competitività.
Chi sono gli studenti che scelgono di formarsi a UNIMONT? Da dove provengono? Cosa si aspettano di trovare qui?
Sono ragazzi che amano la montagna e hanno in comune la grande passione per essa e per quello che in essa si può fare: spesso sono sportivi o giovani che cercano modelli di vita non metropolitani e vanno in cerca di un luogo dove acquisire gli strumenti per vivere in contesti come quelli montani, ricchi di ambiente e di natura. Vengono da tutta Italia e da tutto il mondo, spesso anche dalle città. Per noi non è obbligatorio che un ragazzo che nasce in montagna, poi voglia viverci per tutta la vita. Ognuno ha il proprio orizzonte ed è importante che gli si dia la possibilità di mettere a terra i propri sogni, perché è solo così che possiamo creare una società stabile, evoluta.
Gli studenti Unimont provengono da tutta Italia, anche se l’area alpina è la più rappresentata (i Camuni sono l’8% della popolazione studentesca). Tra i paesi di provenienza degli ultimi immatricolati al primo anno della magistrale troviamo Brasile, Cina, Regno Unito, Marocco, Catalunia, Tagikistan.
A Edolo si studia in un clima di grande partecipazione. Durante la lezione le mani si alzano spesso, gli studenti intervengono, pongono domande, sono curiosi e hanno una vera “fame” di sorbire tutto il possibile, perché hanno in mente un progetto da realizzare. E noi cerchiamo di dare loro gli strumenti per farlo: li aiutiamo per esempio a capire qual è l’ecosistema dell’innovazione, chi sono i soggetti che a livello europeo si occupano di policy, quali sono le piattaforme dove si possono trovare bandi per i finanziamenti utili ai contesti montani, chi sono i soggetti a livello nazionale e regionale che si occupano di sviluppo dei territori montani, come si fa il fund raising per le montagne.
Che tipo di professionalità servono oggi per tutelare e rilanciare i territori montani italiani?
Più che parlare di professionalità, mi concentrerei sul tipo di persone che servono oggi alle nostre montagne: noi cerchiamo e aiutiamo giovani che vogliono vivere e lavorare in montagna, che siano locali o no, questo non importa. L’importante è che abbiano questo sogno, questo desiderio perché è la sola formula che funziona. Non si può pensare che soltanto chi è nato e cresciuto tra i monti sappia interpretare la montagna: le montagne sono di tutti e sono di chi le ama.
Per dar concretezza ai sogni ci vogliono strumenti, approccio innovativo, metodo e reti, perché, al giorno d’oggi, vedere cosa fanno gli altri, sapere che qualcuno c’è riuscito e come ha fatto diventa vitale; per fare tutto ciò, è importante avvalersi anche della tecnologia digitale, che è alla portata di tutti, anche delle montagne. E mi pare di poter dire che le tecnologie digitali siano usate nelle montagne per proporsi ed esplorare il mondo, più che in altri contesti e ciò mi permette di avere un orizzonte positivo e ottimistico.
Forse anche grazie al fatto che oggi le informazioni sono molteplici e diversificate i ragazzi scelgono in modo un po’ più libero: tanti giovani stanno tornando in montagna o stanno decidendo di trasferirvisi a vivere e lì noi dobbiamo intervenire, affinché le montagne dimostrino sempre di più di essere luoghi capaci di competitività e di futuro. Noi di Unimont stiamo cercando di formare un esercito di rivoluzionari per le montagne e questi sono ragazzi coraggiosi, che hanno un sogno nella testa; nei loro confronti noi abbiamo dei doveri, perché se non approfittiamo della loro passione per far rinascere questi territori, siamo colpevoli.
Unimont dà quindi loro delle opportunità e i nostri studenti hanno saputo coglierle. Il monitoraggio del destino lavorativo degli oltre seicento laureati formati in questi anni ci consegna un quadro davvero incoraggiante: abbiamo imprenditori agricoli che praticano agricoltura multifunzionale con successo e professionisti che si occupano di gestione del territorio, prevenzione delle valanghe e del dissesto nelle istituzioni pubbliche ma anche in società private; alcuni sono entrati nei corpi speciali militari, nel soccorso alpino e nella guardia di Finanza; altri si occupano di attività educative o turistiche, altri ancora lavorano come dottori forestali titolari di aziende forestali, o dentro i consorzi, o ancora come dipendenti in Regione Lombardia o Ersaf.
La ricerca e lo sviluppo, in ogni campo di studio e di lavoro, si alimentano di confronti continui con realtà simili sul territorio nazionale, europeo e mondiale. Il networking di UNIMONT sembra molto attivo. Ci racconta come si sviluppano e quali risultati hanno portato fino ad oggi le collaborazioni esterne?
Unimont fa molta ricerca in progetti internazionali, finanziati dalla Commissione Europea, pertanto sono progetti competitivi, che vincono bandi di selezione molto ambiti. È importante sottolineare questo per comprendere che non riceviamo fondi europei perché rappresentiamo un’area povera e marginale ma, al contrario, perché proponiamo idee realizzabili, intriganti e in linea con le più recenti ricerche e visioni sullo sviluppo dei territori montani. Facciamo infatti parte di cordate di calibro importante: oggi siamo project leader di un Horizon Europe con 47 partner di 13 paesi europei sul tema dell’adattamento al cambiamento climatico nelle montagne europee. Sono tavoli di lavoro dove ci confrontiamo a livello internazionale, scambiamo esperienze e buone pratiche e in questo modo cresciamo molto, per poi travasare tutto questo patrimonio nell’attività didattica, dal momento che gli studenti hanno la possibilità di partecipare a queste iniziative e ad assorbirne gli esiti.
Infine, portiamo avanti la cosiddetta terza missione, cioè tutta quell’importante attività di supporto alle istituzioni, agli operatori e a chi in montagna vive o lavora, con l’obiettivo di far comprendere che le montagne possono giocarsi una partita ma devono avere un campo da gioco che ne riconosca le peculiarità.
In questo senso negli ultimi anni anche sul tema della terza missione abbiamo fatto molto: il libro bianco sulla montagna realizzato con la Presidenza del Consiglio e tutta l’attività di disseminazione che viene fatta dal polo di Edolo con i seminari erogati da remoto e le newsletter quasi quotidiane, quindi con la creazione di una comunità virtuale che è un mondo e che oggi conta più di 35.000 contatti italiani e stranieri che si sintonizza regolarmente sui temi della montagna.
Come è cambiata la montagna negli ultimi anni? E quali azioni servono per affrontare le sfide demografiche, ambientali ed economiche che le pone il futuro?
L’attenzione nei confronti della montagna è cresciuta negli ultimi anni, emancipandosi dalla marginalizzazione in cui veniva troppo spesso relegata. Sta crescendo come una terra performante su tutti i fronti, anche quello demografico: basti pensare che negli ultimi dieci anni i territori montani guadagnano il 5% di cittadini mentre l’Italia, complessivamente, ne perde l’1,8%. Quindi possiamo dire che sta cambiando sicuramente l’attenzione rivolta alla montagna, e il periodo della pandemia ha funzionato da acceleratore ed evidenziatore in questo senso.
Ora dobbiamo provare a cambiare marcia, perché si parla tanto di montagna ma non si agisce ancora di conseguenza, ma soprattutto è necessario abbandonare la logica dei sussidi e del conteggio “pro capite” delle risorse spese per i territori montani, dal momento che se si usa solo questo parametro, i soldi destinati alla montagna paragonati a quelli destinati a territori più densamente popolati, saranno sempre troppi. È dunque necessario porsi in un’ottica diversa, che consideri la gestione dell’ambiente e dei servizi ecosistemici della montagna: i cittadini dei territori montani, rispetto ai cittadini urbani, portano sulle loro spalle “uno zaino” molto più grosso di ambiente e di terra da gestire, proteggere e preservare e per questo è necessario che possano avere le giuste risorse per gestire questa terra. Negli anni, piano piano, questi concetti si sono diffusi e stanno prendendo piede anche nella consapevolezza dei decisori politici.
Infine, c’è il grande rivolgimento generato dal cambiamento climatico: la vegetazione che risale, i ghiacciai che si sciolgono, eventi meteorologici estremi che provocano disastri anche in montagna e che hanno bisogno di interventi di prevenzione importanti. Il cambiamento climatico non è però necessariamente negativo, perché, per esempio, noi stiamo vedendo un incremento significativo della frequentazione della montagna dovuta ad un clima più mite che fa sì che nei periodi che venivano considerati morti tra l’estate e il Natale, dove un tempo non si vedeva nessuno in giro per le nostre montagne, oggi il fine settimana è pieno di famiglie coi bambini che vanno a passeggiare e a cercare una fuga dalla fatica, dalla velocità e dalla compressione stressante delle città.
E poi, il fatto che lo sci, come sport di grande richiamo delle montagne, stia mostrando i segni di una rapida crisi dovuta alla scomparsa della neve, ha portato le comunità a cercare delle alternative, anche più sostenibili.
Noi di Unimont lavoriamo in progetti attraverso i quali cerchiamo di aiutare queste comunità a trovare la via per una diversificazione dell’economia montana: la formula è lavorare sulle persone e con le persone che poi restano a lavorare nelle montagne e che sono il vero patrimonio da valorizzare per costruire un futuro per questi territori.









